Scritto da Sabrina Santamaria.
Leggi tutto
Scritto da Sabrina Santamaria.
Sinossi:
“Sparate subito e mirate al petto”. Fu questa la frase con la quale il colonnello fiorentino Giulio Gamucci, comandante della Legione dei Carabinieri di Tirana, affrontò la morte in Albania nel 1943. Una raffica di mitra fu la risposta. Ben 111 Carabinieri caddero uccisi barbaramente dai partigiani comunisti albanesi comandati dal criminale Xhelal Staravecka.
Questo libro intende portare alla luce i fatti di quello che, dopo Cefalonia, gli storici definiscono il più crudele “omicidio” perpetrato contro militari italiani e sui quali si è taciuto per troppi lunghi anni, rendendo onore a coloro che hanno dato la vita per la Patria.
Autore
Antonio Magagnino, di Mario e Antonietta Geranio, da tutti conosciuto come Tony, è nato il 6 novembre del 1962 a Matino, un grazioso paesino dell’entroterra Salentina in provincia di Lecce. Vive a Viterbo.
Per ventisei anni ha servito con grande amore e fedeltà l’Arma dei Carabinieri tra Roma e Viterbo, per la maggior parte nel ruolo Ispettori; venti dei quali trascorsi in Reparti Operativi.
Grande appassionato di equitazione, paracadutismo e soprattutto di Storia Contemporanea, come ricercatore ha fortemente voluto indagare e scrivere la vera storia sull’eccidio della colonna dei Carabinieri Reali in Albania comandata dal Colonnello Giulio Gamucci, pur trovandosi nel momento più difficile della propria vita tra ferite vitae e lutti famigliari, tanto che aveva deciso di abbandonare le ricerche.
Come studioso ha offerto collaborazione all’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell’Età Contemporanea per la ricerca e la stesura del libro “La persecuzione degli Ebrei nella Provincia di Grosseto nel 1943-44” edito nel 1996.
Inoltre ha collaborato con il Prof. Maida dell’Università di Torino, per la mappatura degli eccidi da parte di Reparti Italo-Nazisti nelle Regioni Toscana-Piemonte. Per ultimo ha ricevuto una lettera di apprezzamento da parte del “Yad Vaschem” di
Gerusalemme (il più grande Museo dell’Olocausto) per la collaborazione nella fornitura di documentazione in un libro sulla deportazione degli Ebrei dal Lazio autore il Rabbino Capo Michael Tagliacozzo.
Link di acquisto:
http://www.heraldeditore.it/Libro-L-eccidio-della-colonna-Gamucci.html
Scritto da Sabrina Santamaria.
Nella società post-moderna le certezze che imperavano nel periodo della modernità si sono sfaldate. I nostri valori si sbriciolano e non resta niente di più di lontani ricordi nei tempi passati quando da bambini recitavamo la preghiera a scuola e i crocifissi in aula costituivano parte integrante e imprescindibile dello scenario scolastico italiano(a differenza di questi ultimi anni in cui di discuteva di “togliere i crocifissi dalle aule”). Lyotard, in quanto studioso dei fenomeni sociali, ha tante volte disquisito su questa imperante disgregazione dei valori come l’amore, la famiglia, la religione concentrando la sua riflessione sulla “fine delle grandi narrazioni”, la morte delle ideologie e il crollo dei valori che comportano la crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo; su questi fattori socio-culturali hanno anche influito la globalizzazione, la glocalizzazione, il multiculturalismo e la multietnicità, in particolare, questi due ultimi aspetti ridanno un nuovo volto alla concezione teologica dell’uomo tanto è vero che in questi ultimi due decenni l’ecumenismo ha fatto breccia a livello internazionale. La fede in Dio può aiutare l’uomo contemporaneo? Anche in situazioni difficili come quelle che stiamo vivendo in questo complesso periodo storico? Oppure davvero Dio è disimpegnato e anche Lui appare distante, ormai, distante da noi? Suscita molti interrogativi l’opera “Dio è in mutua. Posso aiutarti?”, appartiene a un genere letterario innovativo, in quanto non è poesia, ma narrativa, però, allo stesso tempo non è un romanzo e nemmeno una raccolta di racconti o novelle infatti è vengono messi insieme micro episodi che descrivono situazioni che tutti noi viviamo come una giornata lavorativa o la fila alla cassa del supermercato. L’autore prova in modo provocatorio e grottesco a sostituirsi a Dio e cerca di fare dei comici tentavi per tendere la mano ai lettori i quali, anche loro, patiscono questa “assenza” contemporanea di certezze ove le problematiche morali ed economiche aumentano in modo algoritmico ed esponenziale, quasi a macchia d’olio, direi. L’uomo del XXI secolo avverte lo spaesamento dell’Io giacché se i principi etico-morali in cui credevamo fermamente si sono “liquefatti” e disfatti allora l’essere umano su quale punto cardine dovrebbe concentrare il suo fulcro di credenze? Tuttavia sta emergendo il modello americano del self made man cioè ogni persona crede fermamente di essere imprenditrice della propria stessa vita, secondo questa convinzione ogni uomo o donna non deve assolutamente far leva sull’eterogeneità del corpo sociale quindi tutti appaiono autocentrati e appiattiti in una sorta di nichilismo del proprio esistere. Garofalo è uno scrittore ad ampio respiro che fonda la sua attività letteraria su diversi generi e stili, soprattutto cura molto la forma e i contenuti affrontano tematiche svariate e variegate affinché ogni suo libro possa essere originale e mai una “copia della copia” platonica. In “Dio è in mutua. Posso aiutarti?” il testo è denso di satira che funge, non solo da intrattenimento per i lettori, ma costituisce uno snodo riflessivo rilevante per coloro i quali si accingono a questa opera letteraria ovvero Domenico Garofalo è come se chiedesse ai suoi probabili interlocutori un “tacito” parere su questa presunta inoperatività del Padre Buono, ogni persona potrebbe rispondere con una sua verità secondo il suo vissuto e la sua esperienza: “Adesso siamo diventati atei, la religione è un fatto privato”, “Dio ancora agisce, però siamo noi che ci siamo allontanati da Lui”, “Dio non esiste! È la fantasia umana che vuole trovare una verità rivelata”, “Signore perdona l’autore che ha scritto questa eresia, il suo testo sia anatema!”; riguardo a questa ipotetica affermazione l’autore stesso potrebbe rispondere che nel testo è racchiusa una grande provocazione che egli nasconde tra le righe perché concentrandoci attentamente sulla narrazione ci accorgiamo che i suoi sono tentativi grotteschi, l’autore, in realtà, svela la pochezza dell’essere umano che si erge a esperto conoscitore di teorie indipendente e intraprendente dunque Garofalo getta un sasso e ritrae la mano quasi a volerci suggerire, siamo davvero capaci e autosufficienti per come crediamo di essere o è una presunzione che noi ostentiamo con baldanza e dimentichiamo la nostra fallacia nell’agire, in fondo siamo solo infinitesimi punti nell’universo e non siamo certo onnipotenti allora in vista di questa riflessione ci accorgiamo che non abbiamo la facoltà di fare le veci di Dio altrimenti diverremmo grotteschi, come nel caso dell’autore, ma egli è un filtro, uno specchio che ci restituisce l’immagine di noi stessi, in molte circostanze senza renderci conto ci sopravvalutiamo sentendoci dei superuomini che sono giunti a riscrivere i valori; il nostro autore stuzzica e solletica i pensieri dell’immaginario collettivo avvalendosi del suo umorismo, di certo la comicità si cristallizza a livelli troppo superficiali, come, appunto, Pirandello ribadiva nel suo saggio “L’umorismo” risalente al 1908, questo elemento narrativo(l’umorismo) dà sapidità all’ordito intessuto con ottimi artifici, per certi versi è come se egli riscrivesse in termini satirici il saggio nietzschiano “E così parlò Zarathustra” anche in questo celeberrimo testo filosofico Zarathustra discute sulla morte di Dio, il cristianesimo è la “religione dei deboli” e l’uomo deve evolversi e divenire un oltre-uomo, un superuomo; ecco da questi assunti filosofici sono disseminati in “Dio è in mutua. Posso aiutarti?”, è l'esasperazione all'ennesima potenza di “Parole sporche”, in cui la voce narrante veste i panni di un post-moderno Zarathustra, egli è colui che sente di possedere la sicurezza in se stesso, indipendente e si prodiga, con un gesto di finto moralismo, di aiutare gli altri, forse implicitamente è un dare/chiedere il conforto altrui, trionferà in questa azzardata impresa o brancolerà nel buio? Al di là se il nostro eroe contemporaneo riesca nella sua missione egli, comunque, strapperà un sorriso o una risata ai suoi lettori e li renderà “pecore nere” guarendoli dal “qualunquismo”, un grave cancrena attuale che colpisce senza esclusione di colpi ossia il male comune che offusca la mente umana ottundendola.
“Poi prendo il caffè, con poco zucchero, sempre schiumato, sorrido, e lascio le ciabatte, metto la cravatta, scendo in strada. Non ricordo mai dove ho parcheggiato l’auto.” (“Dio è in mutua. Posso aiutarti?” di Domenico Garofalo)
Sabrina Santamaria
Scritto da Sabrina Santamaria.
Nella società post-moderna le certezze che imperavano nel periodo della modernità si sono sfaldate. I nostri valori si sbriciolano e non resta niente di più di lontani ricordi nei tempi passati quando da bambini recitavamo la preghiera a scuola e i crocifissi in aula costituivano parte integrante e imprescindibile dello scenario scolastico italiano(a differenza di questi ultimi anni in cui di discuteva di “togliere i crocifissi dalle aule”). Lyotard, in quanto studioso dei fenomeni sociali, ha tante volte disquisito su questa imperante disgregazione dei valori come l’amore, la famiglia, la religione concentrando la sua riflessione sulla “fine delle grandi narrazioni”, la morte delle ideologie e il crollo dei valori che comportano la crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo; su questi fattori socio-culturali hanno anche influito la globalizzazione, la glocalizzazione, il multiculturalismo e la multietnicità, in particolare, questi due ultimi aspetti ridanno un nuovo volto alla concezione teologica dell’uomo tanto è vero che in questi ultimi due decenni l’ecumenismo ha fatto breccia a livello internazionale. La fede in Dio può aiutare l’uomo contemporaneo? Anche in situazioni difficili come quelle che stiamo vivendo in questo complesso periodo storico? Oppure davvero Dio è disimpegnato e anche Lui appare distante, ormai, distante da noi? Suscita molti interrogativi l’opera “Dio è in mutua. Posso aiutarti?”, appartiene a un genere letterario innovativo, in quanto non è poesia, ma narrativa, però, allo stesso tempo non è un romanzo e nemmeno una raccolta di racconti o novelle infatti è vengono messi insieme micro episodi che descrivono situazioni che tutti noi viviamo come una giornata lavorativa o la fila alla cassa del supermercato. L’autore prova in modo provocatorio e grottesco a sostituirsi a Dio e cerca di fare dei comici tentavi per tendere la mano ai lettori i quali, anche loro, patiscono questa “assenza” contemporanea di certezze ove le problematiche morali ed economiche aumentano in modo algoritmico ed esponenziale, quasi a macchia d’olio, direi. L’uomo del XXI secolo avverte lo spaesamento dell’Io giacché se i principi etico-morali in cui credevamo fermamente si sono “liquefatti” e disfatti allora l’essere umano su quale punto cardine dovrebbe concentrare il suo fulcro di credenze? Tuttavia sta emergendo il modello americano del self made man cioè ogni persona crede fermamente di essere imprenditrice della propria stessa vita, secondo questa convinzione ogni uomo o donna non deve assolutamente far leva sull’eterogeneità del corpo sociale quindi tutti appaiono autocentrati e appiattiti in una sorta di nichilismo del proprio esistere. Garofalo è uno scrittore ad ampio respiro che fonda la sua attività letteraria su diversi generi e stili, soprattutto cura molto la forma e i contenuti affrontano tematiche svariate e variegate affinché ogni suo libro possa essere originale e mai una “copia della copia” platonica. In “Dio è in mutua. Posso aiutarti?” il testo è denso di satira che funge, non solo da intrattenimento per i lettori, ma costituisce uno snodo riflessivo rilevante per coloro i quali si accingono a questa opera letteraria ovvero Domenico Garofalo è come se chiedesse ai suoi probabili interlocutori un “tacito” parere su questa presunta inoperatività del Padre Buono, ogni persona potrebbe rispondere con una sua verità secondo il suo vissuto e la sua esperienza: “Adesso siamo diventati atei, la religione è un fatto privato”, “Dio ancora agisce, però siamo noi che ci siamo allontanati da Lui”, “Dio non esiste! È la fantasia umana che vuole trovare una verità rivelata”, “Signore perdona l’autore che ha scritto questa eresia, il suo testo sia anatema!”; riguardo a questa ipotetica affermazione l’autore stesso potrebbe rispondere che nel testo è racchiusa una grande provocazione che egli nasconde tra le righe perché concentrandoci attentamente sulla narrazione ci accorgiamo che i suoi sono tentativi grotteschi, l’autore, in realtà, svela la pochezza dell’essere umano che si erge a esperto conoscitore di teorie indipendente e intraprendente dunque Garofalo getta un sasso e ritrae la mano quasi a volerci suggerire, siamo davvero capaci e autosufficienti per come crediamo di essere o è una presunzione che noi ostentiamo con baldanza e dimentichiamo la nostra fallacia nell’agire, in fondo siamo solo infinitesimi punti nell’universo e non siamo certo onnipotenti allora in vista di questa riflessione ci accorgiamo che non abbiamo la facoltà di fare le veci di Dio altrimenti diverremmo grotteschi, come nel caso dell’autore, ma egli è un filtro, uno specchio che ci restituisce l’immagine di noi stessi, in molte circostanze senza renderci conto ci sopravvalutiamo sentendoci dei superuomini che sono giunti a riscrivere i valori; il nostro autore stuzzica e solletica i pensieri dell’immaginario collettivo avvalendosi del suo umorismo, di certo la comicità si cristallizza a livelli troppo superficiali, come, appunto, Pirandello ribadiva nel suo saggio “L’umorismo” risalente al 1908, questo elemento narrativo(l’umorismo) dà sapidità all’ordito intessuto con ottimi artifici, per certi versi è come se egli riscrivesse in termini satirici il saggio nietzschiano “E così parlò Zarathustra” anche in questo celeberrimo testo filosofico Zarathustra discute sulla morte di Dio, il cristianesimo è la “religione dei deboli” e l’uomo deve evolversi e divenire un oltre-uomo, un superuomo; ecco da questi assunti filosofici sono disseminati in “Dio è in mutua. Posso aiutarti?”, è l'esasperazione all'ennesima potenza di “Parole sporche”, in cui la voce narrante veste i panni di un post-moderno Zarathustra, egli è colui che sente di possedere la sicurezza in se stesso, indipendente e si prodiga, con un gesto di finto moralismo, di aiutare gli altri, forse implicitamente è un dare/chiedere il conforto altrui, trionferà in questa azzardata impresa o brancolerà nel buio? Al di là se il nostro eroe contemporaneo riesca nella sua missione egli, comunque, strapperà un sorriso o una risata ai suoi lettori e li renderà “pecore nere” guarendoli dal “qualunquismo”, un grave cancrena attuale che colpisce senza esclusione di colpi ossia il male comune che offusca la mente umana ottundendola.
“Poi prendo il caffè, con poco zucchero, sempre schiumato, sorrido, e lascio le ciabatte, metto la cravatta, scendo in strada. Non ricordo mai dove ho parcheggiato l’auto.” (“Dio è in mutua. Posso aiutarti?” di Domenico Garofalo)
Sabrina Santamaria
Scritto da Sabrina Santamaria.
(Recensione a cura di Sabrina Santamaria edita dalla Rivista Internazionale "Le Muse)
Un battito d’ali di farfalla che si adagia lieta fra gli angoli inconsueti del cuore dell’autrice caldeggia in modo appassionato le pagine di questa breve, ma intensa raccolta poetica. Il sentimento nutrito incondizionatamente da Clara Bessi è una “rosa nel deserto”, come la nostra poetessa sostiene nella sua nota critica: “Un amore straordinario, sigillato dalla grazia discreta di una Musa capace di esprimere con la trasparenza di un cielo azzurro, tutto lo stupore che solo il miracolo di una rosa nel deserto potrebbe destare.” Nella poetica di Clara Bessi l’amore stesso, come sintagma puro, è l’architrave portante che sostiene l’estasi di un’isola in cui decidono di salpare solo i temerari, coloro i quali sono teppisti che imbrattano le loro pulsioni istintive con colori vividi e fervidi; in questo caso le tinte amorose potrebbero essere fosche o ambrate, lo “Sturm und drang”(un noto movimento tedesco del romanticismo, in italiano “tempesta e assalto”), si ricolloca fra gli abissi soffocati, fra gli amplessi irrazionali dell’autrice la quale risulta piuttosto defilata dal razionalismo. La luce che fa brillare una nuova aurora impregnata da una pacata allegrezza funge da ispirazione: “Il gelo? Io non so che cosa sia…/ perché non mi appartiene./ Ho nelle mani l’oro e la follia./(…) E succhio il male/ dalle rocce mute,/ ne faccio acute note di poesia.” (Danza nel vento, pag 6) È un chiarore che finalmente è stato trovato come un tesoro nascosto? Oppure è il bramare di una nascente aurora a scintillar in antitesi durante un plenilunio o al candore di una tiepida luna? : “La corda è tesa nello sforzo/ di sollevare un’emozione/ che sveli tracce/ d’identità perduta,/ la rotta da seguire / e il vento amico/ per navigare/ verso i propri sogni.” (Mistero dell’anima, pag 46). Il suo amore è un’altalena, al caldeggiare di un giorno soleggiato, Clara Bessi si sente appagata dal leggero ondeggiare di crescenti emozioni: “ Marte m’impose/ silenzi laceranti./ Poi venne Afrodite…/ mi parlò.” ( Consacrazione ad Apollo, pag 5); la sua natura femminile che trasuda dalle sue poesie è un incedere di dea puro e genuino; l’autrice è una donna che avverte dentro di sé i dardi infuocati di cupido nonostante la poetessa sappia reagire dalle sue stesse ceneri ella non ne rimane propriamente indenne infatti dal suo tormentato e contrastato limbo germoglia il frutto del suo patimento in cui il lettore più attento serberà gli stralci di una gioia inespressa, ma prossima a sbocciare: “Amore ricevette le sue ali/ Si disse: << Vola…sconfiggi tutti i mali>>”(Amore con le ali, pag 5). I testi poetici racchiusi in “Luce in fondo al tunnel” esprimono le ansie e le angosce per la presunta perdita della persona amata e come se la nostra poetessa sostenesse che ogni perla preziosa non ha alcun valore se non è presente l’amour dans l’ésprit du coeur, infatti in Clara Bessi albergano i piccoli semi della letteratura ottocentesca e, in particolare, romantica come le Lirical Ballads del 1798 di Wordsword e Coleridge, Cime tempestose di Emily Bronte, Anna Karenina di Lev Tolstoj, Madame Bovary di Gustave Flaubert e, per certi aspetti, infine, possiamo individuare qualche frammento del romanzo Orgoglio e pregiudizio di Jane Austin; l’autrice si identifica con la delusione di Ofelia e con il dubbio amletico infatti sparsi fra i suoi versi i fatidici drammi del personaggio shakespeariano: “Essere o non essere./ Amleto sempre si dibatte/ tra l’uno e l’altro senza soluzione.”(Domanda inutile, pag 10). La passione amorosa è un fuoco che accende i desideri languidi e vermigli della poetessa; follia amorosa che consuma il desiderio che diventa una damnatio ardente tanto da far bramare all’autrice notti avide di sogni, ma la sua non è cupidigia carnale in sé e per sé bensì è fulvida essenza d’amore che in questo caso si tramuta in un’ebbrezza divina come se la nostra autrice avesse sorseggiato l’inebriante vino contenuto nella coppa del Dio Bacco; in tal senso, altresì, lo spirito dionisiaco si tramuta nella sua ambita metà e diviene apollineo infatti grazie a questa trasfigurazione il canto poetico diviene sub stantia e solo, così, Clara Bessi infonde energia per plasmare la sua fatica letteraria infatti “Luce in fondo al tunnel” non è una raccolta poetica frivola, perciò risulta scevra da ogni minima forma di superficialità perfino il lessico e lo stile mirano a raggiungere l’abisso dell’oceanico e vulcanico sentire umano; direi che la nostra poetessa è colei che ha intravisto l’immensità di un orizzonte ancora inesplorato quindi “Luce in fondo al tunnel” dona la chiave ai lettori per calcare il prato di un fatato giardino.
Sabrina Santamaria
Scritto da Sabrina Santamaria.
(Recensione a cura di Sabrina Santamaria edita dalla Rivista Internazionale "Le Muse)
Un battito d’ali di farfalla che si adagia lieta fra gli angoli inconsueti del cuore dell’autrice caldeggia in modo appassionato le pagine di questa breve, ma intensa raccolta poetica. Il sentimento nutrito incondizionatamente da Clara Bessi è una “rosa nel deserto”, come la nostra poetessa sostiene nella sua nota critica: “Un amore straordinario, sigillato dalla grazia discreta di una Musa capace di esprimere con la trasparenza di un cielo azzurro, tutto lo stupore che solo il miracolo di una rosa nel deserto potrebbe destare.” Nella poetica di Clara Bessi l’amore stesso, come sintagma puro, è l’architrave portante che sostiene l’estasi di un’isola in cui decidono di salpare solo i temerari, coloro i quali sono teppisti che imbrattano le loro pulsioni istintive con colori vividi e fervidi; in questo caso le tinte amorose potrebbero essere fosche o ambrate, lo “Sturm und drang”(un noto movimento tedesco del romanticismo, in italiano “tempesta e assalto”), si ricolloca fra gli abissi soffocati, fra gli amplessi irrazionali dell’autrice la quale risulta piuttosto defilata dal razionalismo. La luce che fa brillare una nuova aurora impregnata da una pacata allegrezza funge da ispirazione: “Il gelo? Io non so che cosa sia…/ perché non mi appartiene./ Ho nelle mani l’oro e la follia./(…) E succhio il male/ dalle rocce mute,/ ne faccio acute note di poesia.” (Danza nel vento, pag 6) È un chiarore che finalmente è stato trovato come un tesoro nascosto? Oppure è il bramare di una nascente aurora a scintillar in antitesi durante un plenilunio o al candore di una tiepida luna? : “La corda è tesa nello sforzo/ di sollevare un’emozione/ che sveli tracce/ d’identità perduta,/ la rotta da seguire / e il vento amico/ per navigare/ verso i propri sogni.” (Mistero dell’anima, pag 46). Il suo amore è un’altalena, al caldeggiare di un giorno soleggiato, Clara Bessi si sente appagata dal leggero ondeggiare di crescenti emozioni: “ Marte m’impose/ silenzi laceranti./ Poi venne Afrodite…/ mi parlò.” ( Consacrazione ad Apollo, pag 5); la sua natura femminile che trasuda dalle sue poesie è un incedere di dea puro e genuino; l’autrice è una donna che avverte dentro di sé i dardi infuocati di cupido nonostante la poetessa sappia reagire dalle sue stesse ceneri ella non ne rimane propriamente indenne infatti dal suo tormentato e contrastato limbo germoglia il frutto del suo patimento in cui il lettore più attento serberà gli stralci di una gioia inespressa, ma prossima a sbocciare: “Amore ricevette le sue ali/ Si disse: << Vola…sconfiggi tutti i mali>>”(Amore con le ali, pag 5). I testi poetici racchiusi in “Luce in fondo al tunnel” esprimono le ansie e le angosce per la presunta perdita della persona amata e come se la nostra poetessa sostenesse che ogni perla preziosa non ha alcun valore se non è presente l’amour dans l’ésprit du coeur, infatti in Clara Bessi albergano i piccoli semi della letteratura ottocentesca e, in particolare, romantica come le Lirical Ballads del 1798 di Wordsword e Coleridge, Cime tempestose di Emily Bronte, Anna Karenina di Lev Tolstoj, Madame Bovary di Gustave Flaubert e, per certi aspetti, infine, possiamo individuare qualche frammento del romanzo Orgoglio e pregiudizio di Jane Austin; l’autrice si identifica con la delusione di Ofelia e con il dubbio amletico infatti sparsi fra i suoi versi i fatidici drammi del personaggio shakespeariano: “Essere o non essere./ Amleto sempre si dibatte/ tra l’uno e l’altro senza soluzione.”(Domanda inutile, pag 10). La passione amorosa è un fuoco che accende i desideri languidi e vermigli della poetessa; follia amorosa che consuma il desiderio che diventa una damnatio ardente tanto da far bramare all’autrice notti avide di sogni, ma la sua non è cupidigia carnale in sé e per sé bensì è fulvida essenza d’amore che in questo caso si tramuta in un’ebbrezza divina come se la nostra autrice avesse sorseggiato l’inebriante vino contenuto nella coppa del Dio Bacco; in tal senso, altresì, lo spirito dionisiaco si tramuta nella sua ambita metà e diviene apollineo infatti grazie a questa trasfigurazione il canto poetico diviene sub stantia e solo, così, Clara Bessi infonde energia per plasmare la sua fatica letteraria infatti “Luce in fondo al tunnel” non è una raccolta poetica frivola, perciò risulta scevra da ogni minima forma di superficialità perfino il lessico e lo stile mirano a raggiungere l’abisso dell’oceanico e vulcanico sentire umano; direi che la nostra poetessa è colei che ha intravisto l’immensità di un orizzonte ancora inesplorato quindi “Luce in fondo al tunnel” dona la chiave ai lettori per calcare il prato di un fatato giardino.
Sabrina Santamaria
Scritto da Sabrina Santamaria.
( Recensione a cura di Sabrina Santamaria edita dalla Rivista Internazionale "Le Muse")
I ricordi dolorosi o quelli nostalgici tornano sempre nei nostri incubi per tormentarci, soprattutto nel momento in cui percepiamo un profondo senso di solitudine le gioie dei nostri momenti pregressi ci conducono negli abissi di una trascorsa felicità che sembra non tornare più.
Inghiottita nella voragine del suo vissuto doloroso Hellen Sabelli, la protagonista del romanzo “Amore all’improvviso” di Monica Antonella Sabella (Pedrazzi Editore), è inconsciamente fossilizzata come un’ameba e i suoi impulsi cerebrali sono intorbiditi come se ad un certo punto la giovane Hellen avesse deciso di sostare, solo ed esclusivamente, nel teatrale retroscena della pantomima stereotipata dal suo palcoscenico mentale, allo stessa stregua dei mitici protagonisti dei romanzi pirandelliani ad esempio Mattia Pascal e Vitangelo Moscarda vorrebbe cambiare il corso degli eventi; all’inizio sembra tentarci, ma senza successo.
Ella si sente stritolata dalla morsa traumatica dell’amore perduto infatti la morte tragica di Simone, un giovane avvocato con il quale era fidanzata, è il vertice della parabola discendente che fa la sprofondare nella più fitta tristezza; sebbene quest’ultima sembri reagire la sua ferita sentimentale le lacera il cuore neanche i frequenti consigli della sua migliore amica Vittoria sortiscono un effetto sull’apatico comportamento della nostra protagonista la quale rimane fermamente convinta a non implicarsi in una nuova relazione sentimentale: <<Devi tornare a vivere! Lui non c’è più! La devi smettere! Basta!>> (…) <<Hellen, non puoi riportalo in vita! Sono ormai due anni che ti sei annullata in tutto. Usciamo insieme! Conosci altri ragazzi, dai la possibilità a qualcun altro! Lo sai c’è mio fratello Giacomo che da quando eravamo piccole ti fa il filo! Dagli una chance!>>.
Il cinismo di Vittoria unita alla sua tendenza a voler trovare il pieno appagamento sessuale nelle relazioni, a volte, infastidiscono Hellen perché la nostra protagonista è un’inguaribile romantica che ha fatto voto a un sentimentalismo scisso da ogni possibile interesse economico; quindi strattonata dal suo stesso destino ella dipinge il quadro delle sue giornate con delle tinte fosche e grigie, al suo ovattato presente che la svilisce e la mortifica reagisce con il pianto e con la forza dell’immaginazione che la riporta magicamente ai suoi felici anni con Simone.
La vita potrebbe riservarci delle sorprese? O il presente rimane presentificato schiacciato dalle ore ripiegate su se stesse? Una scelta può condizionare il susseguirsi degli eventi futuri? E in quale misura? L’offerta lavorativa, nella città di Londra(all’inizio del romanzo la nostra giovane vive a Roma), di Jonathan Simoni, ricco impresario il quale è già sposato con Veronica, ma separato a causa dell’innamoramento di quest’ultima per Paolo, fratello di Jonathan sarà la scintilla di mezzanotte che scoccherà cambiando, in quell’istante, la squallida routine di Hellen. Uomo schivo e rude, ha uno sguardo glaciale che non si apre all’affetto altrui, il suo animo appare tiepido e irreggimentato da una sorta di freddezza che gli fa giudicare negativamente le persone che gli stanno accanto; tutti lo considerano un uomo spregevole e irragionevole. Il suo unico scopo per sopravvivere è la sua piccola Marta tanto è vero che il lavoro di Hellen sarà quello di fare l’insegnante privato di questa adorabile bambina. Forse, in realtà, Jonathan è solo vittima di un reo destino che ha spinto anche lui in una voragine infernale? Davvero il signor Simoni è una persona diabolica senza nemmeno una parvenza di sensibilità?
Di certo, come il lettore scoprirà, il nostro Jonathan è il fatidico caso dell’essere umano ammalato di carenza d’affetto per via delle cattiverie e dei torti subiti ingiustamente soprattutto quando a tradire sono le “persone fidate” che noi riteniamo di amare più di tutte. A far da corollario e a pagare lo scotto della sofferenza del signor Simoni è il personale che lavora nella sua villa infatti Ester, Adele e Luca subiscono maggiormente gli effetti della rabbia repressa di Jonathan il quale, spesse volte, si abbandona a ingiustificati crisi di nervi accompagnati da scatti di ira e a sproloqui reiterati. La vicinanza con la nostra giovane li porterà a un innamoramento(all’inizio confusa per una semplice infatuazione).
Il nostro Jonathan somiglia moltissimo al signor Darci del famoso romanzo “Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen, fra l’altro nel suo quasi insanabile bovarismo ombreggia il veleno mortifero di Heathcliff (protagonista del romanzo “Cime tempestose”), però a differenza del personaggio di Emily Brontë, questi subisce il male, ma non trama la vendetta infatti saranno gli eventi a fare il loro corso quindi direi che egli si ravvede dal premeditare azioni malvagie. L’incontro con Hellen aiuterà entrambi a uscire dalle loro gabbie e a distruggere i serrati lucchetti che loro stessi hanno contribuito a costruirsi? I nostri protagonisti abbandoneranno le loro ampolle di vetro per cominciare un cammino insieme amandosi davvero? Solo socchiudendo gli usci della loro anima Jonathan e Hellen non si guarderanno vivere e faranno cadere le loro maschere perché abbandonando il teatrale scenario in cui hanno recitato riescono a riesumare i loro genuini sentimenti ricacciando dai loro pensieri tutte le loro paranoie che hanno costernato le loro storie di vita in cui i traumi saranno ferite rimarginate.
Sabrina Santamaria