Immergermi fra le onde sinuose della letteratura mi porta all’apice sublime del mio sentire. Dare spazio agli autori attraverso i miei articoli mi conduce a scrutare orizzonti ove il banale occhio umano delinea solo confini. I libri aprono le porte alle particelle invisibili della fantasia e della creatività…
La vita di Alessandro non è esattamente perfetta; reduce dalla fine di una relazione, impelagato in un lavoro che non gli piace e costretto a convivere con quello strampalato del suo amico Seba. Le cose cambiano all’improvviso quando una sera, in palestra, conosce Deborah. Bellissima, sicura di sé, più grande di lui, Ale non crede alle sue orecchie quando lei lo invita a uscire. Ecco come comincia una storia d’amore apparentemente meravigliosa, che pian piano, però, trascinerà Ale in una voragine di recriminazioni, tira e molla, sparizioni e dolori. Deborah gioca con la sua mente e il suo cuore fino a quando Ale non si renderà conto di essere vittima di una persona narcisista e di dover lottare per liberarsi dalla sua rete.
Un romanzo attuale, basato su una storia vera, per raccontare gli abusi psicologici nelle relazioni di coppia dall’inedito punto di vista di una vittima maschile.
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La sete di successo e la smania di notorietà trasforma le persone in terribili robot che calcolano in un costante limbo ogni embrione relazionale in cui sono coinvolti. La famosa frase di Andy Warhol: “Nel futuro ognuno sarà famoso nel mondo per quindici minuti” negli anni in cui l’artista la pronunciò sembrava inverosimile invece adesso il networker è famoso istantaneamente per essere poi dimenticato e scaraventato nell’oblio di un’ubiquità surreale e, oserei affermare, insignificante. L’ottica dell’ostentazione esistenziale basata sul possesso di oggetti alla moda portata avanti dai fashion blogger e dagli influencer entra prepotentemente nella nostra routine quotidiana tanto da sembrarci normale. Il romanzo autobiografico “Amore malato- Quando Narciso è donna” dell’autore Alessandro Diadami narra questo gap sociale che noi viviamo e patiamo passivamente; il protagonista è un giovane sensibile, riflessivo e, a volte, incompreso in una società opulenta e caotica che non riconosce i suoi sentimenti genuini. In questi ultimi decenni abbiamo anche eliso, troncato e creato uno iato con l’amore sincero, ormai il significato del verbo “amare” ha perso il suo significante in un semplice gesto come potrebbe essere, ad esempio, un bacio, un abbraccio o una carezza infatti essere una coppia nella nostra società, spesso, non collima con la dimensione personale dei singoli membri i quali brancolano nel vuoto di una ricerca nei loro loop mentali. La descrizione dei tratti psicologici di Deborah sono delineati e ben marcati, le capacità dell’autore tracciano una linea ben specifica nel rimarcare la psiche tossica di questa donna narcisista la quale narcotizza la mente e il cuore del nostro autore fino a farlo sentire disadattato, inutile e sciocco. Personaggio dai toni apparentemente splendidi nasconde una un’interiorità inviperita, mostruosa capace di possedere una bacchetta magica in grado di compiere degli occulti sortilegi nella mente del protagonista. Deborah manovra come una marionetta al teatro dei pupi ogni persona che le si presenta dinnanzi pianificando in modo diabolico ogni azione per catturare la preda nella propria ragnatela costruita ad hoc per il malcapitato di turno( emblematica la gita a Bologna che costei pianificava con ogni uomo) vedova nera e vampira che col suo veleno ammazza succhiando la linfa vitale di ogni relazione. Un uditorio mediamente sano riconosce che l’amore in quanto sentimento non svilisce la forza spirituale della persona amata bensì la rinvigorisce, l’egoismo e le offese verbali non si possono mai giustificare e annoverare come litigi in un rapporto coppia, prevaricare l’altro in modo manifesto o subdolo è un’azione ben lungi da virtù nobili. Il titolo “Amore malato-Quando Narciso è donna” è una figura retorica al confine fra la metafora, la personificazione, climax e ossimoro, giusto per non intitolare l’opera “Psiche malata” oppure “Ossessione compulsiva” perché, in realtà, quello che vorrebbe farci comprendere Alessandro Diadami è semplice, chiaro e lineare per cui l’amore ossessivo è una distorsione cognitiva, chi ama non ostenta e nemmeno recita una parte in un set senza usare in modo utilitaristico la persona amata. In fondo nella nostra vita tutti ci siamo relazionati con una persona affetta da narcisismo patologico senza rendercene conto infatti gli studiosi da qualche anno si sono concentrati su questo disturbo distonico di personalità però come l’autore certi percorsi nella nostra vita ci aiutano a crescere e risorgere dalle nostre ceneri e a considerare ogni relazione un’opportunità, ogni esperienza può lasciarci un segno o una cicatrice, ma quel tratto indelebile e distintivo di noi stessi ci farà trarre positività e una ragione per rinascere.
"Non dirmi che ho amato il vento!"(A.G.A.R Editrice, 2021) di Maria Teresa Liuzzo
Accingersi a comporre i cocci o i frammenti del puzzle della propria vita non è per nulla un’elucubrazione fine a se stessa o un’attività letteraria rilassante anzi raccontare la propria esistenza scrivendo un romanzo autobiografico è intellettualmente impegnativo soprattutto quando si tratta di trasporre nero su bianco dei ricordi particolarmente drammatici e dolorosi. L’autrice Maria Teresa Liuzzo mostra una spiccata dote sublimando la cattiveria e i torti subiti da Mary e narrati nel suo nuovo romanzo “Non dirmi che ho amato il vento!”(A.G.A.R Editrice), infatti, dopo il successo di “E…adesso parlo!”(opera letteraria letta in tutto il mondo) questo secondo romanzo autobiografico lascia un solco ancora più profondo nei cuori dei lettori per ovvie ragioni, intanto perché prosa e poesia coesistono magicamente e poi la sensibilità di Mary non può non far commuovere perfino la persona più razionale che esista. Il ritmo narrativo della nostra autrice scandisce dolcemente una musicalità di fondo che crea una certa suspense nell’immaginario del lettore affinché egli non si svilisca di fronte alla becera meschinità della famiglia di Mary, soprattutto la madre è artefice dei patimenti a danno della protagonista. Il flagello della piccola Mary non si ferma e continua aumentando di intensità pure quando ella è divenuta ormai adulta e mamma. L’omicidio che la protagonista subisce è nell’anima sempre più martorizzata e mortificata, quest’ultima mostra i tratti di una martire in un contesto familiare oscuro, animalesco, oserei dire cannibalesco, nel senso metaforico di divorare la carne e il sangue dell’animo pio che subisce queste cruente crudeltà che man mano vengono fuori esalando quella puzza di putrido veleno. La nostra scrittrice si eleva e riesce a volare tanto è vero che non le mancheranno i successi letterari e le amicizie che le renderanno il cuore gaio; le sue migliori amiche Delma e Laura saranno un unguento e un balsamo per curare le cancrene che imputridiscono, suo malgrado, la sua essenza vitale, nonostante tutto ella non si scoraggia mai e rigenera nuova linfa dalle sue membra stanche. Le descrizioni paesaggistiche a volte sono limpide e chiare, come il mare e i pomeriggi soleggiati, a volte sono bucoliche e gotiche( vedi il biancospino e il cipresso); in ogni caso le sequenze descrittive tessono un ordito smerlato nel tessuto narrativo che potrebbe sembrarci, sulle prime, un boccone amaro da digerire o un pugno nello stomaco, ma la forza rigeneratrice della parola elevata a “potente signora”(in questi termini si esprimeva il filosofo Gorgia nell’“Encomio di Elena”) trasporta la visione del lettore nel mondo di Mary senza che questi se ne accorga. Maria Teresa Liuzzo entra in punta di piedi nei nostri meandri interiori, il suo stile è poetico, ma sembra districarsi nel filo conduttore di una sceneggiatura e, non è soltanto romanzesco o romanzato. L’innocenza della nostra Mary supera ogni barriera o confine umano, la sua ingenuità e bontà sono il marchio simbolico della purezza di un essere che non si rassegna di fronte alla gretta malvagità umana. Il titolo “Non dirmi che ho amato il vento!” nasconde metaforici significati e la ricerca incommensurata e inappagata del bene che si traduce in uno sconfinato amore per la moralità potrebbe rappresentare una delle tante allusioni di Maria Teresa Liuzzo inoltre l’evoluzione della storia d’amore con Raf, suo Daimon, non la svelo perché è uno spoiler compresa, anche, la cabala ebraica sulla quale già diversi studiosi stanno elaborando varie disquisizioni filosofiche. Questa seconda opera romanzata di Maria Teresa Liuzzo detiene un’energia e una forza che ognuno di noi dovrebbe riscoprire affinché nessuno venga risucchiato dal vortice violento dell’istinto umano che inselvatichisce l’uomo fino a renderlo capace di compiere atrocità.
Titolo: Vietato dormire:(20 racconti per restare svegli)
Casa editrice: Selfpublishing
Recensione edita dal Bimestrale "Le Muse"( Direttrice Maria Teresa Liuzzo, Vicedirettore Davide Borruto)
(a cura di Sabrina Santamaria)
Piombare nel sonno dogmatico Kantiano assopisce le nostre coscienze, le ottunde e non ci permette di osservare la realtà,le lenti di ingrandimento, potenti protesi, che ci permettono di scrutare i fenomeni che ci circondano in modo critico. A volte la curiosità potrebbe essere il vettore principale che ci consente di oltrepassare il confine o il limite che ci pone dei freni inibitori; l’antologia “Vietato dormire”, opera costituita da venti racconti, è un libro dal lessico fruibile, infatti Andrea Ansevini sente dentro di sé una profonda vocazione, il nostro autore rifugge dall’alienazione, stato psicologico in cui qualsiasi persona potrebbe ritrovarsi facilmente ed essere inghiottita da questo “mostro”(termine che l’autore predilige). Chissà se fra il gregge almeno una pecora nera possa scardinare l’indottrinamento omologante? L’ipertrofica massificazione è una grave cancrena del nostro secolo che trasforma la collettività in un pratico inerte sartriano che giace nell’anonimato scevro da obiettivi sociali e culturali. La motivazione del piccolo Mattia, protagonista di “Vietato dormire”, è encomiabile ed egli vuole attingere dai racconti del nonno Goffredo, il quale era un pilota di aeronautica militare durante la seconda guerra mondiale(Vietato Dormire, pag 21). L’autore ricalca le orme di alcuni autori che sono stati gli antesignani della “letteratura per ragazzi” prendendo come spunto “Il Piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, un classico della letteratura europea che tutti conosciamo per i tantissimi valori che ci ha trasmesso anche le nuove generazioni sono rimaste affascinate da questo testo. “Vietato dormire” cita moltissime perle di saggezza e l’onnipresenza dei contenuti profondi sono il fiore all’occhiello di questo capolavoro contemporaneo, soprattutto la metafora delle ali è in sintonia con i sogni giovanili in fondo ognuno di noi nella propria infanzia ha desiderato di volare sopra i problemi e le difficoltà per oltrepassare ogni cattiveria e malvagità dunque Goffredo, in veneranda età, racconta al suo nipotino le sue reminiscenze infantili. Alcuni racconti racchiusi nell’opera narrano tantissimi episodi della nostra epoca storica, la genuinità del linguaggio cattura l’attenzione dei lettori i quali si inoltreranno fra i capitoli dell’opera con entusiasmo e alla fine della lettura di questa antologia il loro cuore sarà più affrancato dalla pesantezza della quotidianità. Andrea Ansevini è uno scrittore lungimirante, ha la tempra del gabbiano Jonathan Livingstone, egli mediante la sua creatività ama sfrecciare ad alta quota, il suo animo collima con gli spiriti liberi dei suoi protagonisti, anzi questi ultimi sono un’estensione della sua fantasia( Vietato dormire, pag 19). Mattia e Goffredo sono sognatori a occhi aperti e si impongono di non dormire, di non assopire la loro vitalità, di non svilire la loro immaginazione, hanno due età che rappresentano i poli della vita, uno è all’alba invece l’altro si appresta al crepuscolo, ma non demordono perché entrambi nutrono ancora delle speranze e laddove le notti sono senza luna e senza stelle sanno che le nuvole spariranno e strapperanno un sorriso persino ai più nostalgici pessimisti.
A tredici anni Alessio non sopporta nessuno. Né i suoi compagni, sempre pronti a sparlargli alle spalle, né suo padre, da cui si è allontanato dopo la morte della moglie. Ma soprattutto odia se stesso. Colpa del suo tallone d'Achille, una malformazione fisica che lo costringe a camminare zoppicando, attirando risatine e commenti, che alimentano la rabbia che si porta dentro. Un giorno, la fiamma dell'ira esplode, costringendo il padre a inviarlo a un campo estivo, sperando di favorire così la sua socialità. Ma al Campeggio Sorriso Alessio non imparerà solo regole e disciplina. Tra sortite notturne, giochi a Palla Mortale e misteri sotterranei, conoscerà il valore dell'amicizia e l'importanza di vivere ogni giorno a pieno.